La festa di Carnevale a Napoli
Usi e costumi di una delle feste più belle e sentite del sud Italia: il Carnevale a Napoli fra tradizione, arte e gastronomia
A Napoli il giorno di Sant’Antuono rappresentava l’ingresso nel periodo di carnevale: proprio in coincidenza di questo periodo vi era l’uso di dar fuoco alla roba vecchia.
Il Carnevale di Napoli nell’arte e nella cultura
Tante sono le opere d’arte che ritraggono il carnevale partenopeo una di queste è l’opera di Giovanni Battista del Tufo, “Il Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli“.
Attraverso questa opera viene raccontata la tradizione dell’epoca: il travestirsi era una festa dedicata esclusivamente alla classe nobile di cavalieri, dame, duchesse e l’alta aristocrazia napoletana. Questi partecipavano a tornei, balli, caccia al toro e a ricevimenti sfarzosi presso la Corte Aragonese.
Intorno al 1600 qualcosa cambiò, poiché la tradizione dei vestiti di Carnevale a Napoli aveva affascinato anche la classe medio-borghese e la plebe: pescatori, macellai, pescivendoli e contadini organizzano il cosiddetto Carnevale del popolo.
Il Carnevale più glorioso si ebbe nel periodo dei Borboni: sfilate, mascherate, carri allegorici sfarzosi invasero tutta Napoli. Soprattutto i carri erano arricchiti con vivande, cibo, salumi e venivano saccheggiati dal popolo napoletano affamato.
Il Re Carlo di Borbone
I saccheggi diventarono routine tanto da iniziare a provocare danni ed incidenti anche gravi; nel 1746 il Re Carlo di Borbone istituì che i carri non dovevano più percorrere le strade cittadine bensì dovevano essere allestiti nel largo di Palazzo e dovevano essere sorvegliati da truppe armate.
Durante i secoli XVII e XVIII i carri vennero sostituiti dal cosiddetto “albero della Cuccagna” o “palo di sapone”: questo era reso scivoloso dal sapone e il popolo aveva maggiori difficoltà ad arrampicarsi. Proprio da questo deriva l’espressione “cuccagna” che significava come “paese delle meraviglie, dei piacere e delle delizie”. A Napoli sorse quindi l’usanza, da parte del popolo, di “abbuffarsi” prima del digiuno quaresimale.
Come non abbuffarsi d’altronde?
I dolci di carnevale a napoli più conosciuti sono le chiacchiere e il sanguinaccio. Le chiacchiere sono dei dolci molto famosi in tutta Italia, chiamate con nomi differenti a seconda della zona. Nella versione napoletana, esse sono sottili strisce di pasta fritta ricoperte da zucchero a velo. Il sanguinaccio è invece una crema di cioccolato fondente che, in antichità, veniva preparato aggiungendo anche sangue di maiale. Ma state tranquilli, oggi questa tradizione è caduta in disuso, ed il sanguinaccio è composto al 100% di cioccolato!
Quante sono le maschere popolari del Carnevale napoletano? Molte sono ormai dimenticate, ma un tempo queste animavano Napoli, tanto da essere divenute strettamente connesse alla città nella Commedia dell’Arte.
Le Maschere
Pulcinella è certamente la maschera napoletana più famosa, quella che meglio incarna l’essenza della città e dello spirito popolare; i suoi malesseri, la sua euforia, l’ingordigia, la miseria, l’ingenuità. Uno stereotipo popolare che è divenuto famoso in tutto il mondo, in cui la maschera è divenuta il simbolo dello uno scanzafatica e mangiamaccheroni e resa celebre dagli attori del calibro di Silvio Fiorillo e Antonio Petito, ispirati alle vicende quotidiane del contadino-attore Puccio d’Aniello, da cui Pulecenella, Pulcinella.
Altre maschere celebri sono:
lo «Spagnolo», che alcuni supponevano che fosse l’antagonista di Pulcinella, ovvero il Capitano spagnolo. L’appariscente maschera con spada, mantella, cappello piumato e merletti è facilmente riconoscibile e si avvicina molto allo stereotipo delle maschere della Commedia d’arte.
il «Medico» o del «Ciarlatano del Molo» , personaggio pomposo e bislacco. Il Dottore se ne andava in giro sempre con la sua cassetta, colma degli strumenti del mestiere che utilizzava sia durante le rappresentazioni teatrali che per le dimostrazioni popolari. Simile era la maschera del «Cacciamole» o del «Cavadenti», sempre pronto ad operare, cavando i denti con una grossa tenaglia o per sbaglio, asportare tutta la mascella del povero malcapitato.
Personaggi di spicco
«Pasqualotto» o Pascalotto invece era una maschera ottocentesca presente tutto l’anno e non si accompagnava mai a nessun’altra maschera. La sua caratteristica principale era l’agilità ginnica con cui si divertiva a lanciare il suo lungo bastone in aria e riprenderlo (tipo majorette) oltre alla sua ambiguità sessuale: era l’ermafrodito per eccellenza.
Nel XVIII secolo era presente la maschera di «Don Nicola» identificazione del classico avvocato napoletano, inscenato sempre da popolani o attori improvvisati. Un lontano parente di Don Nicola è la «Paglietta Calabrese» la parodia dell’uomo di legge alquanto imbranato.
Ancora più napoletana è la maschera di «Giangurgolo» che appare già nel 1618 personaggio della Commedia dell’Arte, che si distingue per il suo gusto delle oscenità.
Il suo nome è composto da Gian-Gianni e da gurgolo-gorgo un chiaro rimando alla voracità e alla fame da donnaiolo.
Ai giorni d’oggi il Carnevale tradizionale, appena descritto, rimane solo una bella storia da raccontare ai nipoti, ma voi potete sempre visitare il suo bellissimo erede: ecco dove trovare quante più informazioni possibili.
Carnevale a Napoli 2019
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